La donna abitata

La mia Valutazione:

8.5/10

Le mie considerazioni

Poco rimane ormai di quella donna in letargo che l’aroma delle mie zagare ha risvegliato dal profondo sonno dell’ozio. Lentamente, Lavinia ha toccato il fondo di se stessa, raggiungendo il luogo in cui giacevano i sentimenti nobili che gli dei danno agli uomini prima di mandarli a dimorare sulla terra e a seminare il mais. La mia presenza è stata lama per tagliare l’indifferenza. Ma dentro di lei esistevano occulte le sensazioni che ora affiorano e che un giorno intoneranno canti che non moriranno”

Ho scelto La donna abitata di Gioconda Belli per la sfida di lettura 2025, che prevedeva un libro pubblicato nell’anno di nascita di un figlio. Questo romanzo  si è rivelato perfetto: scritto nel 1988 e uscito in Italia nel 1995, sono gli anni di nascita dei miei figli.

Il romanzo racconta la storia di due donne: Itzá e Lavinia. Itzá, vissuta secoli prima, è una guerrigliera indigena che si batté contro i conquistadores spagnoli con la stessa forza e determinazione di un uomo. Dopo la morte, si reincarna in un albero di arance che cresce nel giardino di Lavinia. Quest’ultima è una giovane architetta, di famiglia aristocratica e benestante, che vive da sola sfidando le convenzioni: una scelta quasi impensabile per una donna nel Nicaragua degli anni Settanta, ma non solo lì.

Il romanzo comincia con l’arrivo di Itzá nell’albero, in una descrizione poetica che oscilla tra realtà e magia. Lavinia, bevendo inconsapevolmente il succo delle sue arance, accoglie dentro di sé lo spirito di Itzá: da quel momento il passato e il presente si intrecciano e la sua vita cambia radicalmente.

Lavinia si innamora di Felipe, collega e rivoluzionario, e grazie a lui scopre un Paese che non aveva mai realmente visto: la povertà, l’assenza di diritti sociali, le profonde disuguaglianze. La rinascita di Itzá nell’albero coincide così con la rinascita politica e culturale di Lavinia, che decide di unirsi al movimento di liberazione. Nonostante le resistenze di Felipe, rivoluzionario sì, ma pur sempre legato a pregiudizi maschilisti,  Lavinia trova in sé un coraggio nuovo, alimentato dalla voce interiore di Itzá.

Mi ha colpita la scena in cui, in un pronto soccorso di periferia, Lavinia osserva i propri piedi ben curati, con le unghie smaltate di rosso, e li confronta con quelli gonfi, sporchi e segnati dalla fatica della maggior parte delle persone che la circondano. Il seme del cambiamento era già dentro di lei, ma in quel momento prende coscienza del privilegio in cui è sempre vissuta e decide che deve fare qualcosa e la sua vita cambia radicalmente.

Ho apprezzato  la semplicità e la fluidità della scrittura, che rendono la lettura piacevole, il romanzo è interessante, offre tanti spunti di riflessione.

L’intervista a fine romanzo (rilasciata nel 2018) alla scrittrice è molto interessante, non sapevo della sua militanza nella lotta di liberazione del Fronte Sandinista. Condivido le sue parole “Il problema è che oggi molte donne che hanno acquistato potere l’hanno ottenuto camuffandosi da uomini e secondo regole maschili. Ma il cambiamento che io immagino è di altro tipo, più profondo. Bisognerebbe guardare ai valori positivi che ci sono negli uomini e nelle donne e infonderli nella società” , parole molto attuali, purtroppo.

La trama

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