In occasione del 27 gennaio, ho letto questo libro che, più che un romanzo, si presenta come un documentario. Racconta la storia di Jan Zwartendijk, diplomatico e direttore della Philips in Lituania, che si trovò, quasi per caso, a ricoprire il ruolo di console onorario a Kaunas, l’antica capitale lituana, in un momento storico particolarmente critico. Da un’esistenza borghese e normale, si trasformò in eroe.
Nel 1940, nel giro di poche settimane, riuscì a firmare e produrre circa 2300 visti di uscita per gli ebrei polacchi, utilizzando un espediente burocratico apparentemente legale. Lavorava giorno e notte, consapevole di non poter fare tutto ciò che avrebbe voluto e preoccupato di mettere in pericolo le vite degli ebrei in viaggio.
Fu sostenuto in questa impresa dall’Ambasciatore in Lettonia, De Decker, e dal console giapponese in Lituania, Sugihara, quest’ultimo firmò il permesso per chi aveva ricevuto il visto di passare per il Giappone, andando contro le disposizioni del governo giapponese. La destinazione finale per molti di loro erano le Indie occidentali, Curaçao e Suriname.
Si tratta di una storia di cui non si è saputo nulla per anni, poiché il protagonista non ne aveva mai parlato, convinto di aver fallito e di aver mandato a morire migliaia di ebrei. Solo dopo il suo funerale si scoprì che il 95% degli ebrei rifugiati si era salvato.
La storia di questo eroe è affascinante, ma a mio avviso risulta troppo giornalistica. Ci sono troppe date e dati, frutto di una lunghissima ricerca e di molte interviste, e manca di emozione.